Terapia occupazionale: 7 domande a Francesco Favero

“Il terapista occupazionale propone, ove è necessario, modifiche dell’ambiente di vita e propone azioni educative verso il soggetto in trattamento verso la famiglia e verso la collettività”.
Questo è uno dei passaggi salienti all’interno della descrizione del profilo professionale di una professione sanitaria presente in Italia dagli anni ’50 ma ancora poco conosciuta.

La figura del terapista occupazionale (TO), così come è conosciuta oggi, viene istituzionalizzata il 24 maggio 1997 con il DM n° 136 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n°119, descrivendone competenze, ambiti di intervento e formazione.

Per comprendere meglio la professione del terapista occupazionale e capire, nello specifico, cos’è  la terapia occupazionale, abbiamo fatto un’intervista a Francesco Favero, terapista occupazionale e collaboratore di Willeasy.

A chi si rivolge la terapia occupazionale?

La terapia occupazionale si rivolge a persone che non riescono a partecipare attivamente alle attività della loro vita quotidiana a causa di una disabilità (temporanea o permanente), di un evento, oppure a soggetti che non riescono ad esprimere la propria capacità di agire sul mondo.
Una persona che ha una patologia congenita che implica delle limitazioni nel movimento, se non è debitamente aiutata, non può si può realizzare pienamente.

In generale, un po’ tutta la riabilitazione si occupa di questo e, nello specifico,  il terapista occupazionale aiuta le persone ad essere autonome nella vita quotidiana attraverso delle azioni specifiche:

  • Routine quotidiana. Il terapista occupazionale lavora su quegli aspetti della vita quotidiana che scandiscono la giornata di una persona (scendere dal letto, lavarsi il viso, prepararsi la colazione, etc.).
  • Azioni complesse. Il terapista occupazionale si focalizza anche sulle azioni più complesse, come, per esempio, muoversi in città, gestire la propria casa, riuscire a compiere un lavoro, impegnare il proprio tempo libero in attività piacevoli.
    Si tratta di tutta una serie di elementi che aiutano l’individuo a realizzarsi come persona.

Quali sono le origini della terapia occupazionale, nell’ambito delle professioni sanitarie?

La storia della terapia occupazionale ha le sue radici in ambito psichiatrico nei movimenti legati al trattamento morale di fine Settecento (Pinel, Chiarugi) ma compare ufficialmente in America agli inizi del Novecento a New York ad opera dello psichiatra William Rush Dunton che in collaborazione con un insegnante, un assistente sociale e due architetti fonda nel 1917 la società americana di Terapia Occupazionale.

Partendo dalla constatazione dell’inadeguatezza assistenziale fornita negli ospedali, l’equipe di Dunton sosteneva che l’uso delle attività per occupare il tempo dei pazienti avesse il potenziale per migliorare il processo di guarigione. Inizialmente diffusa in ambito psichiatrico la terapia occupazionale, anche a causa dei nuovi bisogni di salute emersi dai conflitti mondiali, si è sviluppata in altri ambiti sanitari e in tutto il mondo ma sempre tenendo fede al proprio obiettivo primario: creare le condizioni personali e ambientali per poter agire, partecipare ed essere autonomi.

In Italia la terapia occupazionale arriva dopo la seconda guerra mondiale, grazie agli scambi economici e professionali con gli USA e si diffonde in vari centri riabilitativi sparsi per il territorio nazionale. Nel 1977 viene fondata l’Associazione Italiana Terapisti Occupazionali e nel 1997, con la definizione dei profili delle professioni sanitarie, viene ufficialmente istituita e riconosciuta in Italia la figura del terapista occupazionale.

A quali aspetti deve prestare particolare attenzione il terapista occupazionale?

Due sono gli aspetti sono fondamentali da considerare.

  • Cercare di aiutare la persona a superare i limiti che l’ambiente gli pone. Ciò è reso possibile da un lavoro di coaching e di potenziamento attraverso tecniche e metodologie specifiche che agiscono sugli elementi del corpo, e che, anche sfruttando la motivazione, aiutano la persona a cambiare il proprio modo di agire.
  • Agire direttamente sull’ambiente. Il terapista occupazionale rappresenta l’unica figura sanitaria professionale che agisce direttamente sull’ambiente in cui la persona si muove, modificandolo per favorire la partecipazione attiva del paziente. Spesso, apportando alcune modifiche a parti dell’ambiente rendendole inclusive, la persona riesce a partecipare, prendendosi la parte che gli spetta del proprio mondo.

Qual è il percorso di studi di un terapista occupazionale?

Per diventare terapista occupazionale, è necessario svolgere lo specifico corso di laurea triennale, che è inserito all’interno dell’ambito sanitario.
Questo percorso prevede la conoscenza di quali possano essere le fonti di disabilità di una persona così come gli elementi disfunzionali che possono limitare la persona nel proprio agire in tutte le fasi della vita (età evolutiva, adulta, anzianità). Sono prese in considerazione sia le patologie fisiche che psichiatriche.
A livello formativo, inoltre, si studiano tutte le tecniche che aiutano il superamento delle difficoltà imposte dalla patologia, applicate sia alla persona che all’ambiente.

L’ambiente su cui lavoriamo comprende a 360 gradi tutti gli ambiti della vita della persona, ovvero l’ambiente casalingo, professionale e ludico. Si agisce, pertanto, a vari livelli: sull’ambiente fisico (il palazzo, la città, per esempio) su quello sociale e, sicuramente, nell’ultimo periodo, anche sull’ambiente digitale.

Come si sviluppa l’intervento del terapista occupazionale?

Ciò che per prima cosa fa un terapista occupazionale è concordare ogni fase con il soggetto. L’approccio è basato molto sulla persona (approccio client-centred). Il soggetto viene visto come un portatore di interessi e di competenze.
Il percorso di terapia occupazionale è un dialogo tra due esperti: la persona e il terapista. La prima conosce perfettamente le proprie singolari necessità, mentre il secondo porta con sé le proprie conoscenze tecniche ed è in grado di elaborare un percorso su misura (trattamento e soluzione) per chi ha di fronte. Si passa poi alla fase di valutazione, basata principalmente sull’osservazione delle attività di vita quotidiana.

La valutazione di un terapista occupazionale si fonda sull’osservazione delle attività concrete della persona. Una volta effettuata la valutazione, si può prevedere un percorso di trattamento che può riguardare la persona (incontri in cui ci si esercita nel fare un’attività, individuando delle azioni specifiche), l’attività (modifiche all’attività per renderla più semplice o più accessibile) e l’ambiente, lavorando sulle componenti fisiche e sociali dell’ambiente in cui la persona svolge l’attività.
È importante tenere presente che due soggetti con la stessa patologia, età, caratteristiche, storia, possono aver elaborato la propria necessità in modo differente per cui possono presentare delle diverse esigenze.

Da dove nasce il tuo desiderio di collaborare con il progetto di Willeasy?

La collettività è, appunto, uno dei luoghi in cui è importante portare la nostra professionalità. Per questo motivo, quando sono venuto a contatto con William, non ci ho pensato due volte ad accettare la sua proposta.
Willeasy non dà solo la possibilità di fornire uno strumento pratico alle persone, ma rappresenta uno strumento di equità, cultura, usabilità ed inclusività. Tutto ciò, per me, è stato un link diretto al mio modo di intendere e portare avanti la mia professione.
L’approccio risiede nel concetto di inclusività ed accessibilità, come il Design for All.

Consapevoli che siamo tutti individui diversi, è necessario mettere nelle condizioni ogni persona di trovarsi nello stesso punto di partenza degli altri. Il fatto che ogni individuo abbia idea di cosa significhi accompagnare una persona in sedia a rotelle oppure conosca le esigenze di una specifica disabilità, è necessario perché questi possa dare il proprio contributo nella creazione di un pensiero inclusivo e della cultura dell’inclusione.
Ho vissuto diverse esperienze in cui vi era uno scontro tra il soggetto e l’ambiente, che per lui non era inclusivo, perché pensato solo per una fetta della popolazione. Willeasy vuole diffondere il pensiero inclusivo e per questo ne ho sposato la causa.

Qual è la mission che porti avanti nella tua professione?

Io sono molto legato a questo passaggio della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” Sarebbe meraviglioso se tutti potessimo dare voce a chi voce non ne ha. Personalmente, cerco di mettere in condizioni le persone di contribuire proprio a questo progresso spirituale e materiale, dando loro “voce” attraverso le piccole cose, che sia grazie all’uso di un comunicatore oppure dandogli le possibilità di raggiungere un luogo in autonomia.

 

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