Danza inclusiva per conoscere e conoscersi. Intervista a Genny Tavano

Cos’è la danza inclusiva e quali sono i suoi benefici? Scopriamola insieme a Genny Tavano, danzaterapeuta espressivo-relazionale e ideatrice di corsi di danza inclusiva.

“La danza è il linguaggio nascosto dell’anima”. Questa citazione di Martha Graham rappresenta alla perfezione la nostra chiacchierata con Genny Tavano, danzaterapeuta espressivo-relazionale e ideatrice di corsi di danza inclusiva. 

La danza inclusiva fa parte di un movimento che si è diffuso all’interno della danza contemporanea, l’Inclusive Dance, e parte dal presupposto  che la danza è un linguaggio e mezzo di espressione universale, aperto a tutti. La danza diventa così strumento di integrazione tra chi ha delle disabilità e chi no, e rappresenta un piacevole momento di condivisione, utile a conoscere se stessi e gli altri.

Scopriamo qualcosa di più sulla danza inclusiva con Genny Tavano, che ha da poco avviato la seconda edizione di un corso di danza inclusiva a pochi chilometri da Udine.”

Due ragazzi in carrozzina effettuano esercizi di danza con un pezzo di stoffa

Quali sono i benefici che ha chi frequenta un corso di danza inclusiva?                

 “Divertimento, ma non solo! Ogni persona può esprimere se stessa anche nei suoi aspetti più profondi, grazie alla sperimentazione dell’espressione corporea. Ciò emerge lavorando sulla parte motoria così come su alcune strutture psicocorporee. Il benessere è generale. Da piccola mi sono appassionata alla danza classica, decidendo poi di frequentare l’Accademia. Insegnando, ho scoperto quanto la danza, attraverso le sue molteplici sfaccettature, potesse contribuire in maniera straordinaria a dare alle persone un grande benessere  psicofisico”. 

Danza, diversità e pregiudizio: come si relazionano tra loro questi concetti?

“La diversità è, secondo me, un arricchimento per ogni persona: permette di uscire dalla propria zona di comfort  e avere un’immagine autentica e non stereotipata di se stessi e del proprio corpo. “Mescolare” corpi diversi tra loro è importante, soprattutto per questo. Ho avuto la possibilità di lavorare con dei gruppi incredibili: si creano delle situazioni non scontate, che rendono possibile abbattere il pregiudizio”. 

Attività da svolgere ed esigenza della persona: qual è il tuo approccio a riguardo?           

“Nel corso di danza inclusiva, il mio approccio parte dall’esigenza della persona, perciò sono io che mi adeguo a chi ho davanti, non è la persona che si adegua all’attività proposta. Spesso è, invece, quest’ultima la modalità di altri corsi di danza inclusiva”. 

Come può aiutare la danza nell’accettare i propri limiti e nel lavoro su di sé?

“La danza contribuisce ad aiutare ogni persona a lavorare sui propri limiti, ad accettarli e ad accettare se stesso. Serve sia a chi ha un “limite visibile” e oggettivo, che affronta ogni giorno e su cui ha già dovuto trovare delle soluzioni, così come a chi non ce l’ha. Sono queste persone che, attraverso la danza, possono trovare il modo di lavorare sulle proprie strutture psicofisiche e, per esempio, intraprendere un lavoro sulle questioni irrisolte”. 

I gruppi con cui lavori sono sia “misti” che “omogenei”. Cosa significa e cosa implica?                      

“In un gruppo omogeneo, chi ne fa parte è nella stessa condizione di partenza (per  esempio persone tutte in carrozzina, persone con autismo, etc.), diversamente dal gruppo misto, dove si relazionano persone che partono da diversi tipi di situazione. Sviluppare l’interazione tra le persone e tra una persona e la sua condizione sono due obiettivi fondamentali”. 

Una ragazza in carrozzina effettua esercizi con due pezzi di stoffa.

Per quanto riguarda i gruppi con situazioni diverse dal deficit motorio, ne hai guidati alcuni in questi anni? E attualmente? 

“Sì, sia ora che in passato. Grazie alle competenze acquisite a livello professionale, lavoro anche con persone che presentano delle specifiche necessità dal punto di vista educativo e a cui sono state fatte diagnosi di diverso tipo, sia fisicamente che psicologicamente”. 

Cos’è fondamentale per lavorare al meglio con questo tipo di gruppi? 

“Assolutamente la consapevolezza dei processi psicologici e l’ascolto dei loro bisogni. Da un lato, devo sapere a cosa si riferisce una determinata patologia. Da qua comincia il percorso. Dall’altro, è interessantissimo scoprire come, quando ci si trova con un gruppo, è lui stesso a rivelare qual è la sua esigenza: il tuo compito è ascoltare e apportare ciò che manca”. 

Come è nato il tuo progetto di danza inclusiva rivolto a persone portatrici di disabilità fisica? 

“Mi è arrivata una richiesta da parte di una persona con disabilità: da quel momento il progetto si è iniziato a delineare”. 

Perché hai cominciato con una proposta dedicata a un gruppo omogeneo? 

“La danza, per come la conosciamo, è poco inclusiva, ed è per questo che la prima edizione era destinata a un gruppo omogeneo. Portare persone che conoscono già la danza è difficile, perciò, solitamente, chi si riesce a coinvolgere in un nuovo progetto è chi trova delle lacune nelle proposte presenti”. 

Quali sono le differenze tra le due edizioni del corso di danza inclusiva? Quali sono state le tue percezioni al termine della prima? 

“Non avendo mai lavorato con persone con disabilità fisica, la prima edizione ha rappresentato per me un’esperienza nuova, un modo diverso di lavorare, perché tutti i corpi sono diversi. Con ogni nuovo gruppo c’è un momento in cui bisogna conoscersi, adattarsi e testare. 

La seconda, appena cominciata, inizia dopo un percorso di ulteriore formazione: proprio per questo conto di portare qualcosa in più. La prima volta è andata benissimo, ora so su quali aspetti mi devo focalizzare e migliorare ancora”.

Nell'immagine ci sono tre ragazzi che sono seduti in carrozzina e stanno facendo un movimento con le braccia, esercizio di danza inclusiva.

La ricerca di strutture adatte è stata facile?

“Nel mio caso sì. Ho trovato una stanza che ha una grande agibilità ed è di proprietà della parrocchia di un paese in provincia di Udine. Nonostante il tema dell’accessibilità mi stesse prima già a cuore, questa esperienza mi ha aiutato a conoscere molteplici esigenze di cui non ero consapevole”. 

Ci vuoi raccontare qualche episodio che ti è rimasto impresso?

“Durante il tirocinio sono riuscita a prendere parte, sia come spettatrice che in prima linea, a diversi momenti di esercitazione. In questi contesti, è stato possibile stare a contatto con gruppi di vario tipo e ne ho visto i benefici. 

Per esempio, in un gruppo di persone con disturbo psichiatrico (nello specifico, prive di strutture mentali legate al giudizio), sono state loro stesse a  diventare per prime i “facilitatori” del gruppo, grazie al fatto di venire a contatto con persone che non soffrivano dello stesso disturbo. Con la danza, in quel momento di condivisione, riuscivano ad essere più disinibite e ad avere una confidenza tale che ha permesso anche agli altri, più inclini al giudizio altrui, di uscire facilmente dalla propria zona di comfort.

Quando ci si ritrova a dover svolgere un esercizio di movimento, volente o nolente, si trova la modalità per farlo. Questa necessità fa nascere un “dialogo motorio” tra due o più persone: ognuno lo fa in modo personale e diverso. Si innesca così un flusso continuo, uno scambio che toglie completamente ogni possibile giudizio o pensiero su chi si ha di fronte. Lo scambio è anche tra l’insegnante e il gruppo di allievi”. 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? 

“Lavorare con varie associazioni per creare dei progetti specifici è ciò che mi appassiona e che vorrei continuare a fare. Attualmente, sono impegnata in questo progetto di danza inclusiva nonché in un progetto relativo a danza e autismo insieme ad un’associazione che si occupa di autismo. In futuro spero di poter realizzare dei progetti con gruppi di anziani, adolescenti e bambini”. 

La danza può aiutare nel Post Covid per ricostruire le relazioni?

“Per bambini e adolescenti penso che sarà importantissimo utilizzare la danza per la ricostruzione delle relazioni, lavorando sull’avvicinamento dei corpi. L’essere umano ha bisogno di relazione: la mia idea è di creare sempre più gruppi omogenei da unire per creare delle connessioni e un nuovo modo di intendere la danza”. 

 

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